Titolo originale : Flags of Our Fathers
Paese : Stati Uniti d'America
Anno : 2006
Durata : 132 min
Genere : Drammatico, Guerra
Regia : Clint Eastwood
Soggetto Dal libro : "Flags of Our Fathers" di James Bradley e Ron Powers
Sceneggiatura : William Broyles e Paul Haggis
Produttore : Clint Eastwood, Robert Lorenz e Steven Spielberg
Casa di produzione: DreamWorks SKG, Warner Bros. Pictures, Amblin Entertainment e Malpaso Productions
Distribuzione (Italia) : Warner Bros.
Fotografia : Tom Stern
Montaggio : Joel Cox
Effetti speciali : Jan Aaris
Musiche : Clint Eastwood
Scenografia : Henry Bumstead
Costumi : Deborah Hopper
Ci sono immagini che fanno parte della memoria storica, istantanee che hanno letteralmente fatto le guerre. Gli esempi recenti sono piazza Tiennamen, dove il 4 giugno del 1989 lo studente cinese affrontava il carro armato. Oppure la statua di Saddam abbattuta dagli americani nell’aprile del 2003. All’inizio del ’45, ormai sul finire della guerra, sei marines vennero fotografati mentre issavano, sulla cima di una collina dell’isola di Iwo Jima, la bandiera americana. Iwo, territorio vitale e sacro giapponese, fu battaglia cruentissima. Quella fotografia divenne il simbolo dell’azione e del cuore di chi combatteva e ci fu chi disse che quello scatto aveva fatto vincere la guerra contro il Giappone. Dei sei marines, tre morirono nel giorni successivi, gli altri tre furono adottati dalla nazione come eroi e come mito. Si chiamavano Ira Hayes, René Gagnon e Jhon Doc Bradley. Ira era un indiano.
Il film di Eastwood racconta questa storia, come si svolse davvero. Il narratore è James Bradley, figlio di Doc, che ha scritto il libro che ispira il film. Emerge una verità inattesa, quasi grottesca: la foto è un falso. Succede che la bandiera viene issata dai soldati, lassù, visibilissima da tutti, con applausi generali e sirene spiegate delle navi ormeggiate. Succede che un politico voglia assolutamente quella bandiera come propaganda, e che il capitano della compagnia che ha versato sangue per salire lassù, voglia tenersela. E dunque la fa sostituire. Viene così issata la nuova “falsa” bandiera col fotografo che riprende l’evento. I tre tornano a casa, vengono ricevuti dal presidente Truman e iniziano un giro di raccolta di fondi per la guerra. Il più fragile è l’indiano, sempre ubriaco e pieno di rimorsi, proprio non si sente un eroe, ma solo un sopravissuto fortunato. Nel loro tour i ragazzi sono costretti a performances umilianti, come quando devono ripetere l’azione della bandiera in uno stadio su una collina di cartapesta.
La tesi è che non avevano nessuna voglia di essere eroi, volevano soltanto rimanere coi loro compagni. Ciò che viene mostrato e venduto è ciò che la gente vuole ed è fasullo. I media la facevano da padrone già allora, e come. Eastwood ha cercato uno stile epico, ma ha troppo spiegato con quel racconto fuori campo capillare e quasi opprimente. E spesso si è incrociato con Spielberg, che del resto è co-produttore del film. Lo sbarco sulla spiaggia di Iwo Jima sembra quello del soldato Ryan rimontato, e l’iperrealismo della battaglia è lo stesso. Anche il finale, col figlio narratore che assiste il padre morente, percorre il versante lirico-sentimentale tanto caro ai finali di Spielberg. Certo, il film è importante, amaro e umano, e molto ricco, lo spettacolo c’è. Con qualche confessione e qualche lacrima di troppo.http://img830.imageshack.us/img830/9079/custfoof.png |
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