Titolo originale: It Paese: USA Anno: 1990 Durata: 185 minuti Genere: Horror
Soggetto: Basato sul romanzo omonimo di Stephen King Sceneggiatura: Lawrence D. Cohen, Tommy Lee Wallace Fotografia: Richard Leiterman Montaggio: David Blangsted, Robert F. Shugrue Musiche: Richard Bellis Scenografia: Douglas Higgins Costumi: Monique Prudhomme Trucco: Donna Bis, Jayne Dancose, Bart Mixon Effetti speciali: John Thomas, John Deall, Tony Lazarowich Produttore: Mark Bacino Produzione:The Konisberg/Sanitsky Company, Green/Epstein Productions, Lorimar Television Distribuzione: Warner Bros Data di uscita: maggio 2001 (Cinema)
Nelle fogne di una piccola città statunitense vive un mostro. Scoperto da alcuni ragazzini, in seguito ad una battaglia il mostro sembra essere svanito. Ma dopo trent'anni si rifarà vivo e quegli stessi ragazzi, ora adulti, dovranno riprendere la lotta.
Bisogna iniziare con una grande premessa: la visione di “IT” va incontro a due grandi ramificazioni. Nella prima vi sono tutti coloro che hanno letto il romanzo, nella seconda risiedono gli altri.
In altre parole, la lettura dell’omonimo libro di King cambia tutto, ma proprio tutto, nel modo di vedere e concepire questo film.
1- Prima ramificazione: l’esistenza del film senza prendere in considerazione il romanzo.
Va detto in maniera nuda e cruda: questa pellicola (miniserie televisiva che chiamo film per semplicità) è un cult. Perché se il personaggio del clown è entrato nell’immaginario collettivo è solo grazie alla performance strepitosa, memorabile, irraggiungibile di un Tim Curry che ha quasi toccato i livelli del proprio Frank-n-Furter di “The Rocky Horror Picture Show” (1975). Probabilmente nessuno meglio di lui avrebbe potuto dar vita al pagliaccio.
Oltre a questo, il cast è validissimo (in particolare, la performance dei ragazzini è ottima), il ritmo della prima parte è solido e serrato. Certo, nella seconda questo cala e zoppica, ma considerando l’opera nel complesso, gran parte delle sequenze che vedono la comparsa di It sono terrificanti. Nello specifico si ricordano quella della morte di Georgie, quella di Beverly nel bagno, quella di Eddie nelle docce (parantesi, suddetta trovata nel romanzo è assente), nonché tutto il finale nelle fogne nella prima parte. Oggi appare sicuramente datatissimo, ma mantiene un’indubbia efficacia. Inoltre, nell’aver terrorizzato un’intera generazione, ha elevato a icona il personaggio del titolo, scaraventandolo nella cerchia dei mostri del cinema horror più ricordati e citati.
2- Seconda ramificazione: l’esistenza del film prendendo in considerazione il romanzo.
E qui iniziano le grane. Premettiamo innanzitutto che il film – nonostante le tre ore di durata – contiene appena appena un terzo (a dir tanto) degli eventi e delle vicissitudini del romanzo. Al di là di ciò, purtroppo non mantiene nulla della complessità di quest’ultimo. Che non parlava tanto di uno spietato killer di bambini venuto dall’ignoto, bensì del radicale, spaventoso, nonché complessissimo passaggio dall’infanzia alla pubertà, quindi a quell’età adulta dove si alternano il ricordo e il rimpianto. Tali transizioni implicano quella componente sessuale che nel romanzo è estremamente e incredibilmente esplicita, ma che nel film manca. Certo, questo deriva dall’ovvia quanto comprensibile limitazione derivante dalla fattura televisiva dell’operazione. Proprio per tale motivo urge una versione cinematografica che non sia soggiogata a tali limiti.
Quanto detto fino ad ora non basta a spiegare quello che personalmente considero uno dei più grandi libri mai scritti, che non è una semplice storia ma un vero e proprio universo di personaggi, sogni, ambizioni, paure rimosse ma sempre presenti.
Questa recensione non vuole essere né un compendio del libro di King, né proporsi come un’analisi delle differenze tra quest’ultimo e l’opera di Tommy Lee Wallace. E ciò per il semplice motivo che suddette differenze sono talmente numerose che vi ci si potrebbero scrivere volumi su volumi. Solo desidero che il lettore prenda atto di quanto il film sia riduttivo, enormemente semplificato e – ahimè – estremamente superficiale se rapportato ai temi espletati da King.
Che sia, come accennavo prima, colpa della fattura televisiva in sé? O delle svariate necessità insite in questo come in qualsiasi adattamento filmico? In ogni caso, lo spettatore che abbia avuto l’immensa fortuna di leggere il capolavoro dello scrittore del Maine, potrà accontentarsi di questa trasposizione in virtù di qualche sua indubbia qualità, ma più che altro per mancanza di alternative.
Conclusione: Tommy Lee Wallace, collaboratore di Carpenter nonché autore del bellissimo terzo capitolo della saga di “Halloween”, confeziona un bell’horror.
Ho amato questo film per anni, sono cresciuto vedendolo e rivedendolo, per poi rivalutarlo completamente (al ribasso, come evidente da quanto detto prima) dopo l’illuminante lettura del libro.
Consiglio assolutamente “It” agli appassionati di cinema horror che ancora non l’abbiano visto.
Personalmente, però, mi piace considerarlo come una sorta di soluzione provvisoria, nell’attesa di una trasposizione più profonda, sentita, lungimirante, svincolata e – per quanto possibile – completa.
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