Titolo originale: Oceano mare
Autore: Alessandro Baricco
1ª ed. originale: 1993
Data di pubblicazione: 8 gennaio 2003
Genere: Romanzo
Sottogenere: Narrativa
Edizione: Speciale per La Repubblica Collana: Il novecento
Pagine: 222
La locanda Almayer è un non-luogo, che si affaccia su un non-mare, in un non-tempo; e insieme è il Luogo per eccellenza, punto d'arrivo di una miriade di destini che al loro tempo storico, e alle stimmate della loro natura, vogliono disperatamente sfuggire, ponendosi per un verso o per l'altro oltre il limite. Lì soggiorna ad esempio il professor Bartleboom, che dedica la sua vita allo stralunato progetto di stabilire dove finisce il mare; oppure il pittore Plasson, che per dipingere usa esclusivamente l'acqua marina, raffigurando vedute oceaniche su tele che restano ostinatamente bianche; o ancora la giovane Elisewin, che ha paura di tutto e di tutti, col suo inutile mentore padre Pluche. E poi una bellissima donna mandata nella locanda dal marito perché guarisca dalla malattia dell'adulterio, dei misteriosissimi bambini, un fosco vendicatore…
Incipit:
1.
Sabbia a perdita d'occhio, tra le ultime colline e il mare il mare nell'aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord. La spiaggia. E il mare.
Potrebbe essere la perfezione immagine per occhi divini mondo che accade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità verità ma ancora una volta é il salvifico granello dell'uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un'inezia che basta da sola a sospendere tutto il grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola eccezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata. A vederlo da lontano non sarebbe che un punto nero: nel nulla, il niente di un uomo e di un cavalletto da pittore. Il cavalletto é ancorato con corde sottili a quattro sassi posati nella sabbia. Oscilla impercettibilmente al vento che sempre soffia da nord. L'uomo porta alti stivali e una grande giacca da pescatore. Sta in piedi, di fronte al mare, rigirando tra le dita un pennello sottile. Sul cavalletto, una tela. E' come una sentinella questo bisogna capirlo in piedi a difendere quella porzione di mondo dall'invasione silenziosa della perfezione, piccola incrinatura che sgretola quella spettacolare scenografia dell'essere. Giacché sempre é così, basta il barlume di un uomo a ferire il riposo di ciò che sarebbe a un attimo dal diventare verità e invece immediatamente torna ad essere attesa e domanda, per il semplice e infinito potere di quell'uomo che é feritoia e spiraglio, porta piccola da cui rientrano storie a fiumi e l'immane repertorio di ciò che potrebbe essere, squarcio infinito, ferita meravigliosa, sentiero di passi a migliaia dove nulla più potrà essere vero ma tutto sarà proprio come sono i passi di quella donna che avvolta in un mantello viola, il capo coperto, misura lentamente la spiaggia, costeggiando la risacca del mare, e riga da destra a sinistra l'ormai perduta perfezione del grande quadro consumando la distanza che la divide dall'uomo e dal suo cavalletto fino a giungere a qualche passo da lui, e poi proprio accanto a lui, dove diventa un nulla fermarsi e, tacendo, guardare. L'uomo non si volta neppure. Continua a fissare il mare. Silenzio. Di tanto in tanto intinge il pennello in una tazza di rame e abbozza sulla tela pochi tratti leggeri. Le setole del pennello lasciano dietro di sé l'ombra di una pallidissima oscurità che il vento immediatamente asciuga riportando a galla il bianco di prima. Acqua. Nella tazza di rame c'é solo acqua. E sulla tela, niente. Niente che si possa vedere. Soffia come sempre il vento da nord e la donna si stringe nel suo mantello viola. -Plasson, sono giorni e giorni che lavorate quaggiù. Cosa vi portate in giro a fare tutti quei colori se non avete il coraggio di usarli? Questo sembra risvegliarlo. Questo l'ha colpito. Si gira a osservare il volto della donna. E quando parla non é per rispondere.
L'atmosfera del libro è magica.
I personaggi sono dipinti piu' che descritti. Luoghi e persone appaiono davanti agli occhi del lettore circondati dal mare e avvolti dalla sua immensità, l'oceano. E la scelta del titolo appare in maniera prorompente.
Emerge la forza del mare, il fascino misterioso che lo circonda da sempre e che circonda la sua sconfinata immensità, il suo potere. Emergono contemporaneamente, le debolezze umane, la fragilità dell'uomo, la paura dei limiti e allo stesso tempo il bisogno di stabilire dei confini, la necessità di dare un volto a tutto e il fascino dell'immaginario, il senso di nullità che assale nel guardare le onde e, pervasi dal profumo salmastro, la consapevolezza di poter cambiare la propria vita. Traspare la lotta quotidiana alle proprie insicurezze, alle paure per riuscire finalmente a vivere, a sentirsi vivi per essere diversi e salvarsi.
Dando spazio a una vena decisamente surreale, Alessandro Baricco si confermò, con questo romanzo del 1993, uno dei giovani narratori italiani più interessanti e maturi, capace di variare all'infinito i registri della sua scrittura, in una disposizione sperimentale che non ha però nulla della fredda ingegneria avanguardistica: al contrario, i fantasmi mentali che popolano il libro acquistano come per incanto carne e sangue, comunicando un paradossale calore vitale che ne fa dei personaggi a tutto tondo, sia pure nella dimensione straniata della metafora esistenziale. E il lettore si trova coinvolto in una fortissima tensione che è soprattutto emotiva, come fosse costretto a capire qualcosa di sé che avrebbe forse preferito gli restasse ignoto.
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