Titolo originale: Absolute friends
Titolo italiano: Amici assoluti
Autore: John Le Carré
1ª ed. originale: 2003
Data di pubblicazione: Dicembre 2003
Genere: Romanzo
Sottogenere: Giallo
Editore: Mondadori
Collana: Omnibus
Traduzione: Fabrizio Pezzoli
Pagine: 406
John Le Carrè è il nome con cui è conosciuto in tutto il mondo l'ex dipendente dei servizi britannici David J. M. Cornwell. Nato il 19 ottobre 1931 a Poole, nella regione inglese del Dorsetshire, Le Carrè è stato definito, forse non a torto, il più importante scrittore di spy story del Novecento; un autore che con i suoi romanzi impregnati dell'atmosfera della guerra fredda ha fatto scuola, e sulla cui scia si sono accodati centinaia di imitatori, pochi dei quali però riescono ad eguagliare quella miscela di "suspence", brillante scrittura e umorismo sapido che rendono grandi i romanzi di questo agente segreto prestato alla macchina da scrivere.
Forse la sua straordinarietà risiede proprio nella biografia, facendone un uomo con una marcia in più e con così tanto da raccontare. Entrato a far parte dell'intelligence britannica durante la Seconda Guerra mondiale in qualità di traduttore di documenti segreti per ben cinque primi ministri britannici, nel 1947 si iscrive all'università di Berna, in Svizzera, per poi abbandonarla e tornare a Oxford, dove si specializza in letteratura tedesca. E' dalle sue esperienze professionali al servizio di Sua Maestà che prende l'ispirazione per realizzare i suoi primi libri.
A partire dagli anni '60 inizia a scrivere spy stories: "Chiamata per il morto" (1961) segna l'atto di nascita di un personaggio che ha conquistato i lettori di tutto il mondo: il leggendario agente segreto George Smiley. Il successo arride però a Le Carrè con la sua terza prova "La spia che venne dal freddo", titolo poi diventato simbolico di tutti i libri di spionaggio. Inizialmente il successo di pubblico è enorme; meno entusiastica la reazione della critica che da lì a pochi anni dovrà tristemente ricredersi.
In seguito il libro verrà anche ripreso sul grande schermo sotto l'egida attoriale di Richard Burton.
Dopo la fine della guerra fredda, il genere "spy story" subisce un duro contraccolpo: sembra quasi che sia venuta a mancare la materia prima per la narrazione. La crisi non risparmia neanche l'autore inglese, apparentemente incapace di trovare nuove categorie narrative forti.
Tuttavia con "Il sarto di Panama" (1999) e con l'entusiasmante "Il giardiniere tenace" (2001) lo scrittore ha ritrovato il successo e la vena narrativa dei tempi migliori torcendo la spy stories a nuove esigenze: comiche nel primo dei due titoli, civili nel secondo dove accusa il mondo delle multinazionali farmaceutiche e lancia un accorato grido d'allarme per la tragica situazione africana.
Altri celebri titoli, tratti dalla vasta produzione di Le Carrè sono: "La talpa", "Tutti gli uomini di Smiley", "La tamburina", "La casa Russia" e "La passione del suo tempo".
Attualmente John Le Carrè vive ritirato tra Cornovaglia e Hampstead.
1961 - Chiamata per il morto (Call for the dead)
1962 - Un delitto di classe (A murder of quality)
1963 - La spia che venne dal freddo (The spy who came in from the cold)
1965 - Lo specchio delle spie (The looking-glass war)
1968 - Una piccola città in Germania / Quel tanto fedele mr. Harding (A small town in Germany)
1970 - Fine della corsa [teledramma] (End of the Line)
1971 - Un ingenuo e sentimentale amante (The naive and sentimental lover)
1974 - La talpa (Tinker, tailor, soldier, spy)
1977 - L'onorevole scolaro (The honourable schoolboy)
1980 - Tutti gli uomini di Smiley (Smiley's people)
1983 - La tamburina (The little drummer girl)
1986 - La spia perfetta (A perfect spy)
1989 - La casa Russia (The Russia house)
1990 - Il visitatore segreto (The secret pilgrim)
1991 - La pace insopportabile (The unbearable peace)
1993 - Il direttore di notte (The night manager)
1995 - La passione del suo tempo (Our game)
1996 - Il sarto di Panama (The tailor of Panama)
1999 - Single & Single (Single & Single), 1999
2001 - Il giardiniere tenace (The costant gardener)
2003 - Amici assoluti (Absolute friends)
2006 - Il canto della missione (The mission song)
2008 - Yssa il buono (A most wanted man)
2010 - Il nostro traditore tipo (Our Kind of Traitor)
2013 - Una verità delicata (A Delicate Truth)
Berlino, 1969. In un clima di rivolta e di resa dei conti con il passato, l'inglese Ted Mundy salva la vita a un giovane tedesco di nome Sasha. Tra il primo, figlio di un maggiore dell'esercito britannico in India, e Sasha, visionario leader studentesco, nasce un'“amicizia assoluta” Un legame più forte dei vincoli familiari, capace di sopportare lunghe assenze e superare le più grandi prove della storia.
Perché Ted e Sasha si trovano ad agire come spie sui lati opposti del Muro, nemici all'apparenza, in realtà una coppia di agenti che fanno il doppiogioco formidabilmente oliata grazie al vincolo di lealtà personale. Sono anni spesi a proteggere le proprie delicate coperture, anni di rischi sempre crescenti, di viaggi dall'esito terribilmente incerto, dove una parola sbagliata o un appuntamento con un informatore possono costare la vita. Ma ciò che è stato in grado di resistere alla Guerra Fredda si incrina improvvisamente con il Nuovo Ordine Mondiale.
Dopo la seconda guerra in Iraq, Sasha, sessantenne, ricontatta Ted per l'ultima volta: un miliardario dalle mani non troppo pulite, per riscattarsi, incarica Sasha di mettere in piedi un ambizioso progetto di controinformazione. Obiettivo: colpire la superpotenza americana e gli interessi delle multinazionali. Ma chi è veramente il misterioso committente e cosa vale l'esperienza dei due ex agenti di fronte ai nuovi giochi di potere? Riprendendo i suoi motivi più classici, John le Carré ci propone un romanzo di feroce e lucida denuncia politica, capace di prefigurare scenari peggiori di quelli emersi nel caso Kelly, e dove la Guerra Fredda, con le sue regole, appare, ormai, un gioco da ragazzi.
Incipit:
Il giorno in cui il suo destino tornò a reclamarlo, Ted Mundy faceva sfoggio di una bombetta e si ergeva in equilibrio precario su una cassetta di legno in uno dei castelli del re folle, Ludwig di Baviera.
Non era la classica bombetta: l'effetto era più da Stan Laurel e Oliver Hardy che da Savile Row. Non era neppure originale inglese, a dispetto dell'Union Jack in seta orientale che decorava il taschino della sua vetusta giacca di tweed. L'etichetta macchiata d'unto e di sudore all'interno del copricapo rivelava che era opera di Steinmatzky & Figli, di Vienna. E dato che il cappello non era di sua proprietà, come si affrettava a sciorinare a ogni malcapitato forestiero, preferibilmente di sesso femminile, che restava vittima della sua sconfinata affabilità, non era nemmeno uno strumento di mortificazione.
“E' l'emblema del mio rango, Madame” insisteva, ricorrendo alla parlantina per giustificarsi in un teatrale pezzo di bravura collaudato alla perfezione.
“Un gioiello carico di storia, affidato temporaneamente a me da generazioni di ex beneficiari della mia posizione: chierici vaganti, poeti e sognatori, uomini di chiesa, ma tutti, dal primo all'ultimo, devotissimi servitori del defunto re Ludwig, hah!” L'“hah!” era una sorta di involontario regresso alla sua infanzia tra i militari.
“D'altra parte, voglio dire, qual è l'alternativa? Non si può certo chiedere a un inglese purosangue di portarsi dietro un ombrello come le guide giapponesi, le pare? Non qui in Baviera, santo cielo, no. Non a ottanta chilometri da dove il nostro caro Neville Chamberlain sottoscrisse il patto con il diavolo.
Lei ne sarebbe capace, Madame?” E se la sua asolatrice, come capitava spesso, era troppo giovane, o carina, per aver sentito parlare di Neville Chamberlain e per capire a quale diavolo venisse associato, allora, in uno slancio di generosità, l'inglese purosangue le forniva la sua versione per profani del vergognoso Patto di Monaco del 1938, senza esimersi dall'osservare come anche la nostra amata monarchia britannica, per non parlare, tornando sulla terra, della nostra aristocrazia e del Partito conservatore inglese, preferissero in pratica un accordo qualsiasi con Hitler piuttosto che una guerra.
“Classe dirigente e autorità britanniche assolutamente terrorizzate dal bolscevismo, capisce?” sbotta, nell'elaborato stile telegrafico che, come “hah!”, s'impadronisce di lui quando è lanciato.
“Poteri economici e politici americani niente affatto diversi. L'unica cosa che volevano tutti era che Hitler si scatenasse contro il pericolo rosso.” Di conseguenza, agli occhi dei tedeschi, l'ombrello arrotolato di Chamberlain continua a essere, “ancora oggi, Madame”, il vergognoso simbolo dell'eccessiva arrendevolezza britannica davanti al “nostro caro Führer”, l'invariabile appellativo di Mundy per Adolf Hitler.
“Le dico francamente, in questa nazione, come inglese, preferisco bagnarmi da capo a piedi in caso di pioggia anziché portarmi dietro un ombrello. Comunque, lei non è venuta qui per questo, vero? E' venuta a vedere il castello prediletto del folle Ludwig, non ad ascoltare un vecchio rompiscatole che inveisce contro Neville Chamberlain. Cosa? Come dice? Certo. E' stato un piacere, Madame.” Facendo la parodia di se stesso, Mundy solleva di scatto la tesa della bombetta da clown e rivela un anarchico ciuffo di capelli brizzolati che sfugge dalla trappola come un levriero rilasciato dal box a inizio gara.
Autore, tornato dopo qualche anno alle sue storie di spie e di ideali; gli ultimi romanzi si sono fatti leggere con un po' di rammarico. Buoni, sì, e non si dubiti del talento narrativo di Le Carré, ma è nel suo ambiente più familiare - lo spionaggio - che si esprime con la maggiore sicurezza ed efficacia. Che poi, spionaggio... no, non è tutto qua, anzi è riduttivo definire questo uno scrittore di spy stories: Le Carré, comunque e di chiunque racconti, dà forma di poesia al suo mondo e al suo linguaggio, e al di là delle vicende d'azione si sofferma con struggente umanità a indicarne le pieghe segrete, i segni dell'anima. Perché gli uomini e i casi che lui descrive non hanno molto di eroico, non sono al centro di scene concitate e violente, non incarnano il modello dell'agente segreto super-armato, super-tecnologico e super-dotato di fascino e spregiudicatezza. Sono piuttosto figure dimesse e tormentate, inseguite da dubbi e terrori, devote all'invisibilità che è il principale mezzo di sopravvivenza in un mestiere di costante pericolo, dove il sangue freddo e il saper prevedere sono tutto.
Capisco chi nei romanzi di spionaggio segue la trama e si concentra sulle sue complicazioni: capisco, trovo normale e perfino ammiro, perché non sempre è immediato comprendere tutto quello che si svolge e il suo perché, in questo genere letterario in cui giova molto possedere un certo bagaglio di letture e un minimo di scaltrezza per non perdersi. Un bel problema, a volte, tenere conto degli schieramenti, di chi è contro chi, di quando invece salta il fosso e introduce il doppio gioco o triplo o più e ti esce dagli schemi che tanto diligentemente ti eri prospettato... che è poi uno degli aspetti di maggiore fascino di questo genere letterario. Tuttavia io, di Le Carré, ho sempre preferito leggere e carpire anzitutto le atmosfere, destinando alle riletture (più d'una per ricostruire con chiarezza l'intreccio de La talpa, il capolavoro) lo sforzo interpretativo. Atmosfere sempre così dense da distrarre appunto dalle vicende. A ricrearle così suggestive deve essere certamente un certo animo inglese, autunnale e brumoso; come le nottate di veglia nel buio degli appostamenti, traversate da luci fioche di fanali che suggeriscono un senso di allarme, o le ombre minacciose di alberi e cespugli in viali deserti di periferie dell'Est, o la triste polverosità di stanze in affitto ingombre di libri e oggetti anonimi, strumenti di un mestiere che non ammette il culto dei ricordi privati. I testi di Le Carré contengono e trasmettono sempre questa precarietà, questo sofferto e poi accantonato distacco dagli affetti, dal quotidiano, dalla normalità; un senso difficilmente esprimibile di rinuncia alla propria identità in nome di un ingranaggio grande e inarrestabile. Sentimenti, questi, che evocano immagini di nebbia e smog, mozziconi e foglie secche, selciati gelidi e passi sconosciuti; solitudine, e una attesa inquieta.
Qui, in viaggio nei paesi e negli anni più turbati del nostro recente passato dal dopoguerra all'Iraq, Le Carré segue il percorso di un'amicizia virile in bilico fra la lealtà e il dovere, e lo fa con una narrazione al solito accurata e avvincente, ma soprattutto (questo considero sempre il suo pregio) con un'attenzione triste e affettuosa, un senso di umanissima nostalgia che suggerisce l'inevitabilità del suo epilogo. Da un lato, una trama che si sgroviglia e si riaggroviglia sorprendendo sempre; dall'altro, una costante, quel sentimento tenace, libero e pulito che resiste agli equilibrismi di due vite d'azzardo, che soverchia ogni altro rapporto affettivo e le regole tutte. Un'amicizia estrema, una simbiosi di spiriti che obbligatoriamente prepara ad una conclusione fiammeggiante, l'unica possibile, l'unica che spiega, compensa, acquieta. E lascia, sì, un po' di nostalgia.
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