Titolo originale: Splendore
Autore: Margaret Mazzantini
1ª ed. originale: 2013
Data di pubblicazione: 29/11/2013
Genere: Romanzo
Sottogenere: Formazione
Editore: Mondadori
Collana: Scrittori italiani e stranieri Pagine: 309
Figlia dello scrittore Carlo Mazzantini e di una pittrice irlandese, Margaret Mazzantini è nata il 27 ottobre del 1961 a Dublino (Irlanda). Vive a Roma dove alterna la passione per la letteratura al suo lavoro di attrice sia teatrale che cinematografica. Si è infatti diplomata all'Accademia nazionale d'arte drammatica nel 1982. Nello stesso anno, ha esordito sul palcoscenico interpretando "Ifigenia" nell'omonima tragedia di Goethe. Seguiranno altre importanti produzioni, sempre all'insegna di testi fondamentali, come "Tre sorelle" di Cechov (1984-85), "Antigone" di Sofocle (1986), "Mon Faust" di Paul Valéry (1987, con Tino Carraro), "Bambino" (1988) di Susan Sontag e "Praga Magica" di Angelo Maria Ripellino (1989).
Notevole anche la sua presenza sulla scena cinematografica, abbastanza sorprendente se si considera che la Mazzantini è una scrittrice di sentimenti e di delicata presa sul lettore, malgrado i suoi temi sappiano anche essere forti come un pugno nello stomaco (com'è il caso dell'ultimo "Non ti muovere").
La troviamo invece in pellicole "serie" come "Festival" di Pupi Avati (1996) ma anche in pellicole scanzonate come "Il barbiere di Rio" (1996) di Giovanni Veronesi (a fianco del mattatore Diego Abatantuono) e "Libero burro" del marito Sergio Castellitto.
Già nel periodo 1992-93, fra l'altro, sempre assieme a Castellitto ha interpretato "A piedi nudi nel parco" di Neil Simon.
Nel 1995 il compagno la dirige nella pièce "Manola", da lei scritta e interpretata, insieme all'amica Nancy Brilli. La commedia viene replicata con successo anche nel 1996 e nel 1998. Scrive poi "Zorro", diretto e interpretato dall'inseparabile marito.
Con il suo romanzo d'esordio, "Il catino di zinco" (1994), ha vinto il Premio Selezione Campiello e il Premio Opera Prima Rapallo-Carige.
Il suo libro "Non ti muovere" (2001) ha vinto il Premio Strega, sbaragliando i concorrenti e divenendo uno dei più clamorosi e salutari casi letterari degli ultimi anni.
Nel 2003 è stata insignita del titolo di Cavaliere Ordine al merito della Repubblica Italiana su iniziativa del Presidente della Repubblica.
Del 2004 è il suo lavoro: "Zorro. Un eremita sul marciapiede".
Nel 2008 esce il romanzo Venuto al mondo, edito da Mondadori e vincitore, tra gli altri, del Premio Campiello 2009.
Nel 2011 viene pubblicato il romanzo Nessuno si salva da solo, edito da Mondadori e vincitore del Premio Flaiano. Sempre nel 2011 esce Mare al mattino, romanzo edito da Einaudi e vincitore del Premio Cesare Pavese e del Premio Matteotti.
Nel 2013 viene pubblicato il romanzo Splendore, edito da Mondadori. A marzo, riceve il Dante d'oro all'opera omnia, assegnatole dal salotto letterario degli studenti dell'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano, la Bocconi d'Inchiostro.
I suoi libri sono tradotti in trentacinque lingue.
Dal 1987 è sposata con l'attore e regista Sergio Castellitto con cui ha avuto quattro figli.
1994 - Il catino di zinco
1998 - Manola, Milano
2001 - Non ti muovere
2004 - Zorro. Un eremita sul marciapiede
2008 - Venuto al mondo
2011 - Nessuno si salva da solo
2011 - Mare al mattino
2013 - Splendor
"Avremo mai il coraggio di essere noi stessi?" si chiedono i protagonisti di questo romanzo. Due ragazzi, due uomini, due destini. Uno eclettico e inquietto, l'altro sofferto e carnale. Una identità frammentata da ricomporre, come le tessere di un mosaico lanciato nel vuoto. Un legame assoluto che s'impone, violento e creativo, insieme al sollevarsi della propria natura. Un filo d'acciaio teso sul precipizio di una intera esistenza. I due protagonisti si allontanano, crescono geograficamente distanti, stabiliscono nuovi legami, ma il bisogno dell'altro resiste in quel primitivo abbandono che li riporta a se stessi. Nel luogo dove hanno imparato l'amore. Un luogo fragile e virile, tragico come il rifiuto, ambizioso come il desiderio. L'iniziazione sentimentale di Guido e Costantino attraversa le stagioni della vita l'infanzia, l'adolescenza, il ratto dell'età adulta. Mettono a repentaglio tutto, ogni altro affetto, ogni sicurezza conquistata, la stessa incolumità personale. Ogni fase della vita rende più struggente la nostalgia per l'età dello splendore che i due protagonisti, guerrieri con la lancia spezzata, attraversano insieme. Un romanzo che cambia forma come cambia forma l'amore, un viaggio attraverso i molti modi della letteratura, un caleidoscopio di suggestioni che attraversa l'archeologia e la contemporaneità. E alla fine sappiamo che ognuno di noi può essere soltanto quello che è. E che il vero splendore è la nostra singola, sofferta, diversità.
Incipit:
Era il figlio del portiere. Suo padre aveva le chiavi di casa nostra, quando partivamo innaffiava le piante di mia madre. Per un periodo ci furono due nastri azzurri sullo stesso portone, il suo più scolorito del mio perché era più vecchio di qualche mese. C’incontrammo durante tutta l’infanzia, lui scendeva io salivo. C’era il divieto di giocare in cortile dove una grande palma spazzolava la quiete dei vecchi inquilini. Un casamento d’epoca fascista accanto al Tevere. Lo vedevo dalla finestra, mentre scivolava con il pallone sotto il braccio nel canneto lungo il fiume.
Sua madre faceva le pulizie negli uffici al mattino presto. Era organizzato, metteva la sveglia, apriva il frigorifero e si riempiva la tazza di latte. Calzava bene il berretto, si chiudeva il cappotto. Ci trovavamo più o meno allo stesso punto tutti i giorni. Io ero molto più assonnato di lui. Mia madre mi teneva la mano, lui era sempre per conto suo. Ciao. Si portava dietro un odore di cantina, disottosuolo urbano. Faceva tre passi e un saltello. Tre passi e un saltello.
Non ho avuto fratelli, ho trascorso le ore solo. Steso su un tappeto con un pupazzo tra le mani, da far sparare, da far lottare. Il sabato pomeriggio mia madre mi portava in libreria o a teatro. Solo la domenica avevo entrambi i genitori. Mio
padre comprava i giornali e li leggeva sui divani di cuoio del circolo dove pranzavamo. Ma a volte andavamo in bicicletta, si fermava lungo il fiume e mi faceva vedere gli uccelli che galleggiavano sulla corrente verso il mare.
Mangiavo in cucina, cibi senza sostanza e senza sapore davanti a una domestica di spalle che rigovernava. Cambiò molte volte, ma per me fu sempre la stessa, una figura mite ma nemica che consentì a mia madre di abbandonarmi durante tutta l’infanzia. Georgette era architetto ma non esercitava la professione, era attivista di Italia Nostra e preda di una convulsa passione verso ogni forma di volontariato culturale, così non aveva mai orari precisi.
Quando tornava a casa si toglieva le scarpe e parlava con mio padre dei suoi radiosi incontri, delle sue battaglie contro lo sventramento del centro storico. Era una belga di origini umili, figlia di italiani emigrati, così la sua fame da adulta era
tutta volta verso quel pane squisitamente intellettuale che da bambina a casa sua, quella di un modesto casellante, le era così mancato.
Mio padre, al contrario, era un uomo silenzioso e monotono nelle sue attività. Per me un rivale senza attrattiva, con la spada spuntata. Amava intensamente mia madre, la guardava come me, allo spasmo di se stesso: un uccello esotico entrato per errore in quella casa, il tempo di sbattere un po’ tra quelle mura, di toglierci il respiro
Un libro che fa male, come un taglio in bocca, un’afta che non si riesce a fare a meno di stuzzicare con i denti. È un dolore che stilla gocce di piacere, quello che esce da queste pagine durissime eppure intrise di lirismo assoluto. La scrittura forbita di Margaret Mazzantini, ricca di iperboli e grandi volute, si asciuga e si affina in questo suo ultimo romanzo, diventa liscia, cristallina eppure rovente come piombo fuso.
Dopo Non ti muovere, Venuto al mondo, Nessuno si salva da solo, tutti romanzi incentrati su tematiche forti, storie di guerra, sentimenti laceranti, crepuscoli e traumi, l’autrice crea in queste pagine un grandioso romanzo di formazione, che supera i limiti della vicenda biografica per spaziare nella descrizione di due intere esistenze, dall’infanzia fino alla maturità.
I protagonisti di questa storia sono due ragazzi, Guido e Costantino, che abitano nello stesso condominio, in una Roma anni Settanta sontuosa e decadente. Il primo, figlio di buona famiglia borghese, vive al quarto piano, protetto da un ambiente di altero distacco. Il secondo, figlio del portiere, vive nel seminterrato, avvolto nel suo tanfo di cavolo e fumo. Mai due infanzie sono state tanto contigue quanto distanti. Guido vive in un completo isolamento, affidato a balie provenienti da Paesi sconosciuti. Suo padre è un dermatologo incapace di comunicare, sua madre Georgette è una figura superba di una bellezza selvatica e vuota. A illuminare i suoi occhi sul mondo soltanto suo zio Zeno, un critico d’arte che vive nel suo mausoleo, circondato da falsi mezzi busti, al piano di sopra. Guido inizia a pensare al suicidio a dieci anni, non lo farà mai, ma passerà tutta la vita a cercare di farsi del male.
Costantino è coriaceo, corporeo, aggressivo, caparbio. Gioca nella squadra di pallanuoto, studia con ostinazione ma con scarsi risultati, non brilla mai, non emerge, è il rifiuto della società, isolato dai compagni per la sua povertà, per i suoi jeans rimessi a nuovo e i suoi maglioni sformati. Guido e Costantino sono separati da un vecchio, elegante, ascensore di mogano. Le loro vite procederanno parallele e di pari passo, ma sempre secondo un tormentato rapporto di amore e odio. Sarà attrazione carnale, rifiuto, pentimento. Sarà vergogna e violenza, ma anche tempo e distanza. Con gli anni si separeranno e si ritroveranno, ci sarà un matrimonio a Londra, ci saranno altri lungofiume sulfurei e notti passate a cercare dita umide, ci saranno altre case con altre mogli e un’infinità di bottiglie e peccati. Reduci prima ancora di combattere la loro battaglia, Guido e Costantino sono due personaggi che entrano nel sangue del lettore, avvelenandolo.
Un romanzo che è un grande, trionfale, omaggio all’amore omosessuale. Una superba prova di scrittura da parte di un’autrice che ha saputo cogliere le sfumature di un sentimento ibrido, violentemente maschile eppure intensamente femmineo. Scritto in prima persona, dal punto di vista di Guido, questa storia scandalizza e rompe il muro dell’ipocrisia. Come i grandi romanzi ottocenteschi, da Dostoevskij in poi, rivelano la natura umana, così Margaret Mazzantini arriva a mostrarci, attraverso le vite dei due protagonisti, la “contro natura” umana e il suo splendore impossibile.
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