Titolo originale:Hanno ammazzato la Marinin
Autore: Nadia Morbelli
1ª ed. originale:2012
Data di pubblicazione: 2012
Genere:Romanzo
Sottogenere:Giallo Editore: Giunti Editore
Collana: A
Pagine:224
Nadia Morbelli è non solo il nome della protagonista della serie creata dall'autrice, ma anche il nom de plume della stessa, che vuol restare anonima.
"Nadia Morbelli" è nata a Genova, dove si è laureata in paleografia. Collabora con diverse riviste di settore. Attualmente lavora come redattrice in una piccola casa editrice e vive tra Genova e il Basso Piemonte, da cui parte della sua famiglia proviene. Per Giunti è uscito il primo titolo della serie, "Hanno ammazzato la Marinin" (2012), grande successo del passaparola, e l’avvincente sequel "Amin, che è volato giù di sotto" (2013).
Segue nel 2014 "La strana morte del signor Merello".
2012 - Hanno ammazzato la Marinin
2013 - Amin, che è volato giù di sotto
2014 - La strana morte del signor Merello
E' la vigilia di Pasqua e Genova è sferzata da una pioggia battente. La redattrice e paleografa Nadia Morbelli, appena rincasata da un noiosissimo viaggio di lavoro, sta per prepararsi un meritato bagno caldo, quando improvvisamente nel palazzo salta la luce. Nadia non presta molta attenzione alla cosa, almeno fino a quando, tre giorni dopo, suona alla sua porta il commissario di polizia, il dottor Prini. Eh sì, perché proprio la sera in cui si stava rilassando nell'acqua bollente, sullo stesso pianerottolo, a pochi passi dal suo appartamento, è stata ammazzata nientemeno che la signora Assunta, la terribile e petulante vicina di casa, per tutti ''la Marinin''. Curiosa e impertinente per natura, Nadia si incaponisce sull'omicidio e inizia a cercare indizi per conto proprio. E tra un salto alla bocciofila con le amiche, quattro chiacchiere al bar e lunghe conversazioni col commissario che assumono tutta l'aria di un flirt, comincia a individuare qualche pista davvero interessante... Freschissimo, brillante e originale, ''Hanno ammazzato la Marinin'' è un romanzo di grande intrattenimento che, dietro l'intrigo giallo, mette in scena tutti i tic e i vizi della provincia italiana.
Incipit:
Prologo
Faceva un tempo da lupi. Con quel po’ po’ di buriana che tirava dal mare sembrava una sera di novembre, altro che la vigilia di Pasqua, per quanto bassa fosse caduta quell’anno. Quando l’aereo era atterrato già tirava un vento da paura. Che all’aeroporto di Genova, quando c’è ‘sto tempaccio, per prendere l’aria di muso l’aereo si fa una bella virata sul mare, e hai le onde proprio lì, a un palmo dal naso, e sembra ti guardino fisso nelle palle degli occhi. Come l’orco delle favole. Scendere dal tassì e infilarmi nel portone era bastato per farmi infradiciare. Io, il trolley, lo zaino col computer e la montagna di borse, borsine, sacchetti, frutto della mia convulsa, appassionata attività di shopping in terra partenopea. Il rilancio dell’economia italiana poteva far conto su di me, senz’ombra di dubbio.
Finalmente a casa! Avevo depositato tutto nell’ingresso, vicino alla scultura con un uovo – credo di gesso – perpetuamente oscillante a perpendicolo su un tronco nodoso, regalatami da un amico artista in occasione del mio precedente compleanno. Avrei dovuto sistemarla altrove, che lì impacciava e basta… Ripromettendomi di farlo quanto prima, mi ero tolta la roba bagnata di dosso nello studio, per evitare di sgocciolare sul parquet della camera da letto, e avevo preso un po’ di fiato. Poi avrei pensato a organizzarmi, nell’ordine, la serata, Pasqua e Pasquetta. In mutandine e reggiseno, incredibilmente zuppi pure loro, avevo indugiato con lo sguardo sulla mia figura riflessa nello specchio ovale sopra il mobiletto che era stato della nonna: un’acciuga. Secca come un’acciuga! Eppure, da vestita, non sembro così magra…
«Deve essere per via che sono bassetta…»
Ma i solchi delle costole sotto i pizzi del “balconcino” color cipria spazzavano via ogni possibile alibi, anche quello più elaborato. E più ruffiano. Avevo avvicinato il viso a quell’altra me stessa che mi scrutava impietosa: due occhiaie profonde denunciavano con chiarezza uno stile di vita non troppo accorto, né morigerato.
«Mmm… urge un ritocchino alla tinta…»
Dovevo assolutamente prendere un appuntamento dalla parrucchiera: sarebbe potuto andare bene il giovedì sul tardi… Tanto per scansarmi l’affollamento canonico del venerdì. E il chiacchiericcio insulso di quelle che dalla pettinatrice ci vanno anche e soprattutto per passare il pomeriggio. Magari, invece del solito mogano, si sarebbe potuto azzardare un bel rosso acceso. Così, tanto per ravvivare un pochetto il look…
«Ecco, ci mancava anche questa! È andata via la corrente!»
L’incipit di questo romanzo è senza dubbio accattivante, la narrazione in prima persona rende il racconto subito vivido e appassionante. Che dire della copertina? Irresistibile! Un vecchio muro giallo e scrostato, fili da bucato e…una finestra, persiane chiuse e all’ interno (ovvio!) un intricato segreto.
Le prime pagine scorrono veloci, si vuole subito entrare in contatto con il mondo della protagonista, che è quanto di più lontano da ciò che immaginiamo debba essere l’ambiente adatto ad una storia gialla (ma l’autrice ci avvisa fin dall’ inizio: “Tutti abbiamo vite banali, ma appena le si guarda da vicino sono un forziere di storie..”).
La storia si svolge tra i carrugi di Genova. In un vecchio palazzo, alla vigilia di Pasqua, viene uccisa un’anziana donna, scostante e decisamente poco amata dai vicini, che da poco era andata a vivere con la famiglia della figlia, trasferendosi dal paese: la Marinin.
Nadia Morbelli, che è poi il vero nome dell’autrice, redattrice quarantenne per una casa editrice che si occupa di ricerche storiografiche, single e dalla vita disordinata e un po’ sconclusionata (specialmente secondo i criteri della sua provinciale famiglia), è coinvolta suo malgrado nelle indagini, poiché unica presente nel condominio al momento del delitto.
Da qui partono le ricerche dell’ambiguo vicequestore dottor Prini, figura originale e interessante, dall’ aspetto grezzo e solido, ma elegante nei modi, impeccabile nel vestire, inaspettatamente colto e raffinato. La protagonista resta soggiogata dal garbato gioco di seduzione che Prini porta avanti e che si dipana lungo tutto lo svolgersi del romanzo, intervallando congetture e domande sul misterioso delitto.
Appunto…il delitto. Quasi subito ci si dimentica che scopo del romanzo (trattasi di “giallo”), dovrebbe essere quello di condurre il lettore attraverso una ricostruzione mirata dei fatti, che giunga ad aprire squarci nel mistero e farci giungere alla risoluzione del crimine. L’autrice sembra all’ improvviso ignorarlo, partendo per un percorso attraverso la vita di provincia italiana, costellata di fatti, situazioni, personaggi descritti in modo meticoloso e decisamente riuscito. Dall’ abile penna di questa giovane scrittrice, emergono ritratti indimenticabili di personaggi familiari per tutti noi, fotografati nella loro e nostra vita quotidiana, veritieri e irresistibili allo stesso tempo. L'obiettivo dell'autrice si sposta dalla città, al paese dove vive la sua famiglia, con la mamma apprensiva, impeccabile casalinga e immersa in un mondo di preconcetti mai superati, dispensatrice di infallibili consigli etici e morali, che non perdona a Nadia di svolgere un lavoro strano, che lei non riesce a classificare e descrivere e quindi non le consente di pavoneggiarsi con le sue amiche (“…almeno la Carla è professoressa di latino!”) , il papà rassegnato e paziente che si rifugia nel suo giardino, gli amici finto-intellettuali, i compaesani pettegoli e impiccioni, che sotto un leggero strato di modernità, nascondono una visione della vita legata ad atavici pregiudizi. La difficile convivenza con la comunità di immigrati slavi, arrivati ormai da tempo in paese e rimasti ai margini. Gli anziani, che trascorrono le giornate secondo un pigro copione, fatto di soste al bar e di partite alla bocciofila, mentre nulla delle vite dei notabili della piccola comunità, sfugge ai loro sguardi implacabili. E poi un universo di negozianti, commesse, camerieri, venditori, che costellano la vita cittadina di Nadia, ritratti con leggerezza e ironia.
E’ vero, dopo un po’ ci si smarrisce in questa selva di personaggi, perdendo di vista l’origine del romanzo e dimenticando che si sta comunque cercando un assassino. A me però non è dispiaciuto! Ero così presa dalle descrizioni così riuscite di amiche di famiglia, contadini arricchiti e anziane zie, da perdonare all’ autrice di averci tenuto lontani dai risultati delle indagini. Forse questo è il punto dolente. Le indagini, infatti, partite da un banale caso di rapina in casa da parte di balordi comuni, si impennano in un crescendo inverosimile di agganci con intrallazzi politici, commistioni congruppi eversivi di fanatici, traffico d’armi internazionale, rimandi alla guerra in Iugoslavia. Insomma un minestrone abbastanza incredibile e soprattutto in aspro contrasto con lo stile e le premesse del romanzo.
Magari la costruzione del giallo c’è, la struttura potrebbe anche reggere, ma perché mentre ci si intrattiene piacevolmente con vizi e idiosincrasie della provincia italiana, andare a scomodare temi così lontani e impegnativi e spingerli a forza nella trama, provocando antiestetiche protuberanze narrative e inestricabili nodi letterari?
Il romanzo è comunque piacevolissimo, davvero ben scritto, in un italiano accurato e ricco e anche se il ritmo è lento e si incaglia a volte in passaggi non necessari alla comprensione della storia, è riscattato da un lessico scelto con cura e dallo stile originale.
Astenersi giallisti incalliti!
|