Titolo Originale: Little Buddha Nazione: Gran Bretagna Anno: 1993 Genere: Drammatico Durata: 139 minuti
Regia: Bernardo Bertolucci
Soggetto: Bernardo Bertolucci - Film tratto dal libro di Gordon Mc Gill Sceneggiatura: Mark Peploe, Rudolph Wurlitzer Montaggio: Pietro Scalia Musiche: Ryuichi Sakamoto Fotografia: Vittorio Storaro Scenografia: James Acheson Produzione: Jeremy Thomas e Francis Bouygues Distribuzione: Penta Film - Panarecord Data di uscita: Novembre 1993 (al cinema)
Altri personaggi e interpreti:
Santosh Bangera è Channa
Tsultim Gyeles Geshe è Lama Dorie
Jigme Kunsang è Champa
T.K. Lama è Sangay
Mantu Lal è Mantu
Raju Lal è Raju
Greishma Makar Singh è Gita
Kanika Panday è Regina Maya
Rudraprasad è Suddhodhana
Khyongla Rato Rinpoche è Abate
Sofyal Rinpoche è Kempo Tenzin
Bhisham Sahni è Asita
Raj Kaur Sachdev è Yasodhara
Anupam Shayam è Lord Mara
Domo Tshomo è Ani-La
Jesse Konrad è un bambino che vive a Seattle con il padre, ingegnere, Dean e la madre, insegnante, Lisa. Un giorno la famiglia trova sulla porta di casa una delegazione di monaci buddisti del lontano regno del Bhutan. I monaci, guidati dal Lama Norbu con il suo assistente Champa, credono che Jesse sia la reincarnazione di uno dei loro più rispettati lama e vorrebbero portare Jesse in Bhutan a studiare le pratiche buddiste. Increduli, ma curiosi, i Konrad accolgono i monaci e permettono loro di passare del tempo con Jesse. Dean, intanto, viene travolto da una crisi professionale e personale e decide di accettare la proposta dei monaci e accompagnare Jesse in Bhutan, superando le obiezioni di Lisa. Guidato da Lama Norbu, Jesse scopre il Bhutan, un mondo completamente diverso dal suo, vivendo alcuni giorni in monasteri dove vengono ancora seguite regole di vita antiche e tradizionali. Tra il bambino e il vecchio lama si instaura un legame profondo. Il lama si trova così a raccontare a Jesse la storia, avvolta nel mito, del principe Siddhartha, vissuto duemilacinquecento anni fa, e destinato a diventare, dopo una straordinaria vicenda umana, la personificazione storica del Buddha.
"Avvince il respiro unitario che fonde il gusto meraviglioso dei quadri metastorici con gli inserti inquietanti del nevrotico presente. Tanto da farci scrivere in prima battuta, e qui lo confermiamo, che in Piccolo Buddha ci sono due film; un affresco spettacolare alternato alle sequenze di un "Family Plot" minimalista, De Mille più Antonioni. Si ammira la versatilità delle luci di Vittorio Storaro, non solo nell'evocazione dell'India ancestrale ma anche in quella vibrante Seattle protesa sull'Oceano verso l'Asia; e, ovviamente, si apprezzano le scene e i costumi di James Acheson e le musiche di Ryuichi Sakamoto. Rifulge la bravura degli attori, a cominciare dal formidabile cinese Ying Ruocheng nella parte del "Lama" proseguendo con Keanu Reeves che fa di Siddhartha una stupenda Icona e senza dimenticare i moderni Chris Isaak e Bridget Fonda; nonchè il ragazzino Alex Visendanger e i suoi amichetti orientali, depositari del dono comunicativo di vivere ludicamente un'ineffabile esperienza spirituale. E benchè Bertolucci abbia più volte affermato che la sua opera è il contraltare di Jurassic Park, il che in parte è vero essendo il film incomparabilmente più colto, sofisticato e (vogliamo dire la parola che disturba gli americanofili nostrani?) "europeo", piuttosto che dal buddhismo il nostro ci sembra condizionato proprio da quella particolare forma della cinereligione che ha per fondatore Disney e per profeta Spielberg. Nel senso di puntare a un cinema fatto per incantare grandi e piccini, per attirare frotte di appassionati, creare nuove vocazioni e restaurare in un momento di crisi la prevalenza del grande schermo. Su tale piano Bertolucci ha fatto un viaggio altrettanto straordinario di quello dal marxismo al misticismo, coprendo l'enorme distanza tra il cinema per pochi e il cinema per molti. Con qualche apprensione, tenacemente autoriale, che i molti non diventino troppi." (Il Corriere della Sera, Tullio Kezich, 10/12/93)"Dopo due ore di elegante freddezza o di programmatico colore (non c'è un sospetto di manicheismo nel fatto che Bertolucci e Storaro abbiano scelto per Seattle i toni grigi e blu da sempre associati con la depressione e per l'Oriente i toni più caldi e festosi?) la serena preparazione del Lama Norbu alla morte che sente arrivare e l'immagine della sua testa accanto alla testolina bionda di Jesse nella cerimonia che lo riconosce come una reincarnazione del maestro, sono finalmente due situazioni appassionate e sincere in un film che resta strutturalmente controllato e distaccato anche quando racconta con un tripudio di colori e di effetti speciali, gli episodi della vita di Siddhartha. Si direbbe quasi che Bertolucci, dopo aver costruito un gigantesco parco delle meraviglie orientali, abbia sentito il bisogno di un maggior rigore, di un'autocensura, ritagliando drasticamente quanto di pagano, sontuoso, sensuale faceva assomigliare Piccolo Buddha a L'ultimo Imperatore per restituirlo alla sua dimensione di leggenda. "Se tendi la corda oltre misura si spezza, se la lasci troppo lenta non suona", dice la saggezza buddhista. Ma scegliendo la saggezza della via di mezzo Bertolucci non convince del tutto, non riesce a comunicare, quantomeno allo spettatore laico occidentale, il sentimento di "compassione" su cui si basa il messaggio buddhista. E se il vero finale dei molti del film è la cerimonia che, in un fulgore di riti religiosi descritti con grande sapienza registica, riconosce che il grande Lama si è incarnato in tutti e tre i bambini, la conclusione più toccante è quella che arriva alla fine dei titoli di coda: quando una mano spazza via d'un sol colpo il "mandala" di sabbia pazientemente costruito dai monaci. La vita è fragile, è polvere. Come d'altronde diceva anche il Vangelo. (La Repubblica, Irene Bignardi, 10/12/93) ... D'altronde Bertolucci, quando parla di bambini, dà sempre il meglio di sè, come nel primo capitolo di Novecento e nella prima parte - la più bella - dell'Ultimo Imperatore.
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